PSICOFARMACI

Introduzione


Psicofarmacologia

La Psicofarmacologia è una dottrina che si occupa principalmente degli effetti dei farmaci sul comportamento e di come questi effetti siano mediati da modificazioni dell’attività neurale.

I farmaci sono spesso usati dagli psicofarmacologi per studiare i principi di base dell’interazione cervello-comportamento, ma la maggior parte degli studi ha lo scopo di sviluppare farmaci terapeutici o di ridurre l’abuso di droghe.

Gli effetti dei farmaci vengono studiati su animali da laboratorio e sugli uomini, quando ciò sia possibile dal punto di vista etico. 

Cenni storici

La Psicofarmacologia è una disciplina recentissima, il suo inizio si fa risalire al 1950, quando Laborit scoprì casualmente una sostanza, la clorpromazina, un neurolettico o antipsicotico. All’inizio egli pensava che tale sostanza fosse solo un antistaminico; invece scoprì che in condizioni di anestesia e cioè in situazione di cocktail litici (cocktail tra varie sostanze che devono produrre anestesia) essa aveva un effetto sedativo inatteso.

Metodo

Idealmente, e molto spesso, il metodo utilizzato in questa disciplina è sperimentale e consiste nella formulazione di ipotesi, nell'individuazione e manipolazione della VI (variabile indipendente) e nella misurazione della VD (variabile dipendente). Il metodo più usato è quello induttivo e, nel caso di Laborit e di tante altre scoperte, addirittura casuale e serendipico (da “Serendip”: nella novella “Le mille e una notte”, delle persone cercavano una cosa ma ne trovavano sempre altre).

La maggior parte dei farmaci è stata studiata con questo metodo, come ad esempio i seguenti:

IPRONIAZIDE - Inibitore delle MAO (Monoanimossidasi); è usato come antidepressivo e questa sua particolare funzione venne scoperta casualmente; si stava cercando un farmaco antitubercolare e si notò che tale sostanza dava effetti di euforia che nei soggetti depressi determinava una sospensione della sindrome depressiva.

IMIPRAMINA - E' un antidepressivo triciclico; in questo caso si cercava un antistaminico Anticolinergico e invece si scoprì che era molto efficace nel trattamento dei principali sintomi depressivi.

Non sempre la scoperta di psicofarmaci ha seguito il modello del metodo sperimentale. Quest’ultimo tipo di approccio è più pienamente seguito nello studio delle tossicodipendenze.

Lo studio psicofarmacologico delle Tossicodipendenze mira a verificare in modo sperimentale, quindi utilizzando animali da laboratorio, quali sono i meccanismi che determinano la tossicodipendenza e quali sono i meccanismi che, in conseguenza dell’assunzione prolungata della sostanza, determinano comportamenti di tolleranza.

La principale strategia di ricerca in psicofarmacologia consiste nel somministrare farmaci che aumentano o diminuiscono l’attività di un particolare neuromediatore e nell’osservare gli effetti sul comportamento.

Nel caso in cui il farmaco sia in grado di attraversare la barriera ematoencefalica, le vie di somministrazione sono diverse:

  • Endovena
  • Intramuscolare
  • Subcutanea
  • Intraperitoneale
  • Intragatrica
  • Inalatoria

Se invece il farmaco ha difficoltà ad attraversare la barriera ematoencefalica esso viene iniettato mediante un sottile ago cavo detto cannula, impiantato stereotassicamente, direttamente nelle aree del cervello interessate. Se poi si vuole esporre l’intero cervello all’effetto di un dato farmaco, questo può essere iniettato mediante una cannula intraventricolare.

Lo studio delle connessioni tra neuroni attraverso sostanze neurochimiche (neurotrasmettitori) ebbe inizio proprio negli anni ’50 (del 1900), quando venne scoperta nel cervello la presenza di NORADRENALINA, DOPAMINA, ADRENALINA, SEROTONINA. Successivamente la farmacologia si interessò sempre di più all’attività neurolettica di alcune sostanze come la CLORPROMAZINA E LA RESERPINA.