Inibitori delle Monoaminossidasi (IMAO)


Gli Inibitori delle MAO, come l'iproniazide e la fenelzina,  vengono usate talvolta per il trattamento della “depressione atipica”, caratterizzata da tendenza a dormire e mangiare di più rispetto al solito.

Capostipite di questa classe di antidepressivi, nonché primo antidepressivo in generale, fu l’iproniazide. Questa sostanza originariamente, agli inizi degli anni ’50, era considerato un medicinale per curare la tubercolosi, ma non ebbe molto successo. A diffonderlo come farmaco antidepressivo furono due fattori:

  • Rendeva i pazienti affetti da tubercolosi più euforici e meno depressi per la loro malattia, anche se non miglioravano.
  • La scoperta che era in grado di inibire l’attività delle MAO. Tale scoperta venne fatta da A. Zeller (un biochimico) in diverse fasi. Già si sapeva che la reserpina, potente neurolettico, provocava la diminuzione nel cervello di dopamina, noradrenalina e serotonina (cioè delle monoamine). La reserpina infatti provoca lo svuotamento delle vescicole contenenti tali amine biogene nel citoplasma delle terminazioni del neurone pre-sinaptico con conseguente indisponibilità di questi neurotrasmettitori ad esser rilasciati nello spazio sinaptico per la trasmissione nervosa. Zeller scoprì che nel citoplasma di questi neuroni contenenti monoamine si trovava un enzima, chiamato monoaminossidasi, che una volta in contatto con tali monoamine le metabolizzava rimuovendo il loro gruppo aminico. Dopo questa scoperta si mise a cercare tra i vari composti fornitigli dalle varie case farmaceutiche, un composto che inibisse l’attività di questo enzima e lo trovò: era l’iproniazide.

In seguito molti ricercatori hanno condotto ricerche sui ratti: si trovò che nei cervelli di ratti trattati con iproniazide si manifestava un aumento dei contenuti  di noradrenalina e serotonina.  Uno studio del comportamento dei ratti trattati prima con reserpina e poi con iproniazide mostrò che dopo la somministrazione di reserpina, i ratti divenivano quasi immobili e che dopo la somministrazione di iproniazide erano presi da una forma di iperattività correndo su e giù per la gabbia.

Fu così che lo psichiatra Nathan Kline, nel 1956, cominciò a somministrare iproniazide a pazienti depressi con enorme successo. Dal 1957 questo farmaco fu commercializzato come antidepressivo.

Poiché l’iproniazide e i composti simili agiscono inibendo le MAO, e poiché tale inibizione provoca un innalzamento della quantità di noradrenalina e di serotonina nelle terminazioni pre-sinaptiche, si ha anche un numero maggiore di queste due monoamine che si riversa nello spazio sinaptico. Di conseguenza se un aumento delle quantità di noradrenalina e serotinina diminuivano i sintomi della depressione, ciò significava che la depressione era causata dalla carenza di queste amine biogene nel sistema nervoso centrale.

Nacque così l’ipotesi aminergica, per cui le forme depressive dipendevano dalla diminuita disponibilità delle due monoamine in gioco. Gli stati maniacali venivano invece attribuiti all’iperattività dei sistemi noradrenergici.